Il tratto cervicale o meglio, il rachide cervicale, è una delle aree più complesse e sensibili del nostro corpo.

Nell’articolo sull’approccio terapeutico relativo alla cervicalgia, abbiamo osservato la struttura del rachide cervicale in chiave d’inquadramento patologico con un focus sulle radici nervose presenti nell’area cervicale, più precisamente nel tratto cervico-dorsale.

Introduzione.

In questo approfondimento, dopo aver inquadrato la biomeccanica del rachide cervicale e la sua funzionalità strutturale, andremo a valutare l’efficacia della terapia manuale e dell’esercizio terapeutico, in un’area così sensibile.

I dati e le considerazioni fornite, originano dalla pratica professionale e dallo studio approfondito della letteratura scientifica, che in questo caso fa riferimento a due pubblicazioni recenti:

  1. Upper cervical and upper thoracic manipulation versus mobilization and exercise in patients with cervicogenic headache: a multi-center randomized clinical trial.
    In questa pubblicazione si osservano i risultati dell’esercizio terapeutico e delle due metodologie principali di terapia manuale, su pazienti affetti da cefalea cervicogenica.
  2. Effect of cervical manipulation on vertebral artery and cerebral haemodynamics in patients with chronic neck pain: a crossover randomised controlled trial.
    In questo studio, vengono osservati gli effetti delle manipolazioni cervicali sul funzionamento dell’arteria vertebrale e dell’emodinamica cerebrale, argomento che abbiamo trattato nel quadro generale delle manipolazioni toraciche e che puoi leggere qui.

La biomeccanica del rachide cervicale.

Dal punto di vista funzionale, il rachide cervicale è costituito dall’occipite, da sette vertebre cervicali e sei dischi intervertebrali.

Struttura ossea del rachide cervicale. Modello realistico da studio.
Struttura ossea del rachide cervicale

Per quanto riguarda l’aspetto biomeccanico, il rachide cervicale viene suddiviso in due parti:

  • Cervicale Superiore: costituita dall’occipite e dalle vertebre dette atlante (C1) ed epistrofeo (C2). Queste ultime, differiscono per la loro forma e per la funzionalità dalle altre vertebre del rachide, e si identificano anche come “cerniera OAE“, in giunzione con l’occipite.

    I movimenti principali svolti dall’articolazione posta tra l’atlante e l’occipite, sono la flessione e l’estensione. Questi due movimenti, raggiungono un’ampiezza massima di 30/35°.

    Il movimento di flessione avviene su di un arco più esteso, rispetto all’estensione (portare la testa indietro) che è ridotta per via di un blocco meccanico che avviene a fine corsa tra le spinose delle altre vertebre cervicali.

    A livello dell’articolazione posta tra atlante ed epistrofeo, il movimento principale è la rotazione, in cui atlante (C1) e cranio ruotano intorno al dente dell’ epistrofeo, che funge da perno. Questo movimento, può raggiungere i 40/45° di ampiezza.

  • Cervicale Inferiore: le vertebre incluse sono quelle che vanno da C3 a C7.

    In questo caso, le componenti ossee si presentano con un aspetto più convenzionale rispetto a tutto il resto della colonna e rendono possibili due tipologie di movimenti: flesso-estensorio e roto-inclinatorio.

    A dire il vero, per via della sua conformazione anatomica, questa struttura non è mai in grado di compiere un vero e proprio movimento di flessione laterale puro, perché questo sarà sempre accompagnato da un movimento di rotazione.

A conclusione dell’inquadramento biomeccanico, è molto importante tenere a mente come il movimento di flessione sia in grado di generare un aumento del diametro del forame vertebrale e dello spazio per il passaggio dei nervi spinali attraverso le vertebre
Al contrario, un movimento di estensione del rachide cervicale, produce una riduzione di tale diametro.

L’importanza di una conoscenza anatomica e biomeccanica nella progettazione di un trattamento efficace e sicuro.

Conoscere e comprendere la biomeccanica del rachide è determinante per un’attenta fase di valutazione precedente al trattamento. In particolar modo se ci troviamo davanti all’insorgenza di sintomi radicolari, come il formicolio/dolore alle dita oppure alle braccia.

Dunque, è facilmente intuibile come il movimento delle vertebre ed il loro rapporto di concatenazione possa generare una variazione di volume dell’arteria vertebrale.

Per questo motivo, un corretto equilibrio a livello cervicale gioca un ruolo fondamentale nella prevenzione di compressioni vascolari e nervose, strettamente connesse al disallineamento di segmenti vertebrali oppure alla rigidità o contrattura della muscolatura profonda.

Da queste semplici considerazioni, hanno origine degli interrogativi ben più complessi…

Prendendo atto della biomeccanica del rachide cervicale, diventa più che lecito domandarsi se le manipolazioni cervicali possono arrecare danno alla struttura generale del rachide, se possono generare problematiche rispetto all’arteria vertebrale o se sarebbe più opportuno sostituire le manipolazioni con delle mobilizzazioni oppure con l’esercizio terapeutico puro.

Oggi, la Ricerca Scientifica è riuscita a dare delle risposte a questi importantissimi quesiti.

Ma prima…

Facciamo chiarezza: la differenza tra Manipolazioni, Mobilizzazioni ed Esercizio Terapeutico.

In ottica valutativa e decisionale (soprattutto dal punto di vista del paziente), una corretta definizione della nomenclatura relativa ad ogni frangente delle tecniche adottate, diventa fondamentale per un’efficacia profonda del trattamento e per consolidare l’accordo terapeutico.

Perciò, quando parliamo di terapia manuale, è facile incontrare termini come “Manipolazione”, “Mobilizzazione”, “Thrust” oppure “Esercizio Terapeutico”.

Di cosa stiamo parlando nello specifico? Ecco le definizioni sintetiche, ma efficaci, di questi termini facilmente fraintendibili.

  • Manipolazioni: conosciute anche come Thrust o HVLA (High Velocity Low Amplitude) sono movimenti passivi compiuti dal paziente e guidati dal terapista. In questo caso, preferisco citare la definizione estremamente efficace di Robert Maigne, pioniere della transizione della metodica manipolativa da concetto empirico a disciplina medico-scientifica:
    “Una mobilizzazione passiva forzata, che tende a portare gli elementi di una o più articolazioni oltre il loro gioco fisiologico, senza superare il limite anatomico del loro movimento e con conseguente produzione dei cosiddetti “scrosci” articolari”.
  • Mobilizzazione: per mobilizzazione passiva s’intende la movimentazione di una o più articolazioni, senza azionare il reclutamento attivo del muscolo.
    Questa tecnica, può essere applicata manualmente in qualunque segmento anatomico.
  • Esercizio Terapeutico: rappresenta l’insieme di movimenti, posture ed attività che permettono al terapista di raggiungere un miglioramento o di ripristinare una o più funzioni perse dal paziente. Oppure, è possibile applicare queste tecniche anche in ottica di prevenzione delle disfunzioni.

E allora, quale tecnica mantiene il miglior rapporto efficacia/sicurezza, quando deve essere applicata al rachide cervicale?

La Ricerca Scientifica, corre in nostro aiuto.

Per rispondere alla domanda del precedente paragrafo, ho scelto di avvalermi del preziosissimo supporto dei due studi scientifici che sono stati evidenziati nell’introduzione di questo approfondimento.

Nello studio n. 1, Upper cervical and upper thoracic manipulation versus mobilization and exercise in patients with cervicogenic headache: a multi-center randomized clinical trial, i ricercatori hanno come obiettivo quello di comparare direttamente l’efficacia delle manipolazioni cervicali e toraciche (thrust) all’efficienza delle mobilizzazioni e dell’esercizio terapeutico su di un pool di pazienti accomunati dalla cefalea cervicogenica.

Nessuno prima d’ora aveva mai effettuato questo tipo di comparazione diretta tra i vari tipi di tecniche.

Secondo quanto riportato nelle conclusioni tratte da questo trial clinico, il gruppo di pazienti che ha ricevuto una manipolazione cervicale ed una manipolazione toracica ha dimostrato un calo della sintomatologia superiore rispetto al gruppo di pazienti che sono stati trattati con mobilizzazione e con esercizio terapeutico puro.

Inoltre, l’altro risultato significativo, riguarda il livello di mantenimento nel tempo.
Il confronto è stato calibrato anche su di un periodo di follow-up per valutare l’azione del trattamento nel tempo.

Il risultato effettivo di questo studio, riporta che 6 sessioni su 8, di manipolazione cervicale e manipolazione toracica combinate, si sono dimostrate più efficaci rispetto alle sessioni di mobilizzazione o di esercizio terapeutico puro. Con una durata dell’efficacia riscontrabile nel tempo anche a distanza di 3 mesi.

Manipolazione Thrust HVLA Cervicale e Toracica.
Thrust HVLA cervicale (sinistra) e Thrust HVLA toracico (destra).
Immagine proveniente dal report di ricerca, il soggetto ha prestato il suo consenso per l’utilizzo della fotografia.

Lo studio n. 2, Effect of cervical manipulation on vertebral artery and cerebral haemodynamics in patients with chronic neck pain: a crossover randomised controlled trial, svolge invece un’analisi incredibilmente dettagliata e particolarmente interessante sulle variazioni che una manipolazione cervicale può apportare al flusso sanguigno dell’arteria cervicale e dell’apparato cerebrovascolare.

Abbiamo osservato in passato i risultati incredibili di uno studio simile e puoi consultarli qui.

Ma in questo caso, lo studio è stato interamente progettato sulla base di un’ipotesi diffusa in campo medico (che rischia di diffondersi anche nella concezione della materia da parte del paziente) secondo cui, le Manipolazioni Thrust HVLA applicate alla sezione cervicale possano incrementare il rischio d’insorgenza di problematiche cerebrovascolari.

Questo studio del 2019, si è focalizzato su di un pool di pazienti accomunati da dolore cronico al collo. Attraverso una serie di rilevazioni valutative, i ricercatori sono partiti da una posizione neutrale del collo ed hanno poi effettuato una rilevazione al raggiungimento del livello massimo di rotazione e poi una misurazione dopo aver praticato un thrust cervicale.
Così da poter osservare l’emodinamica cerebrale in tutte le fasi di movimento del collo.

In evidenza: arteria cervicale.


I risultati sono molto interessanti, soprattutto perché in accordo con tutto ciò che è merso in precedenza rispetto all’argomento specifico. Anche se in realtà, quest’ultimo, è il primo ed unico studio mirato a poter confermare con le evidenza ottenute, che le manipolazioni cervicali non contribuiscono a scatenare un cambiamento nella perfusione sanguigna rispetto alla posizione neutra del collo o rispetto alla posizione di massima rotazione.

I cambiamenti registrati, vengono riportati come clinicamente insufficienti a costituire un aumento del rischio d’incorrere in problematiche cerebrovascolari attraverso i meccanismi emodinamici azionati dalle manipolazioni thrust HVLA.

Conclusioni.

In chiusura di questo approfondimento sulle tecniche manipolative applicate all’area cervicale, ritengo vitale rimarcare un concetto cardine della professione fisioterapica ed osteopatica.

La scelta nell’attuazione di una o dell’altra tecnica, nonostante le differenze evidenti, va basata sempre e solo sulla storia anamnestica del paziente.

Infatti, questa può racchiudere in sé, un elenco più o meno nascosto di Red Flags (campanelli di allarme) che non sono assolutamente compatibili con il trattamento manipolativo, come ad esempio: fratture vertebrali, osteoporosi importanti ecc…

Oppure, un’altra importante variante, che può essere fortemente influenzata da un’errata o superficiale comunicazione è anche quella dei preconcetti con cui il paziente può arrivare in studio. Una forma mentis negativa o poco informata sulle tecniche a cui si sta per essere sottoposti, purtroppo è in grado di generare un effetto nocebo, del tutto indesiderato.

Se durante la parte valutativa, dovessimo incontrare anche solamente un accenno di componenti di rischio che possano invalidare o rendere rischioso il trattamento, un buon terapista dovrà sempre optare per evitare la manipolazione e strutturare il trattamento sulla base delle più dolci mobilizzazioni o tecniche articolatorie avanzate, che permettono comunque di raggiungere dei risultati positivi oltre a migliorare notevolmente l’accordo terapeutico con il paziente!

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Autore

Lorenzo Sportolari

Dottore in Fisioterapia

Sono Responsabile del Reparto di Fisioterapia presso il CTF Medical di Assisi (PG) e faccio parte dello staff medico della Federazione Pugilistica Italiana. Sono Iscritto al corso di Osteopatia presso l’Istituto Superiore ISO di Milano ed opero come Fisioterapista e Formatore Abilitato Wintecare in Tecar Terapia per la cura, la riabilitazione e la performance sportiva.

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